Inaugurazione: venerdì 13 luglio, ore 19.00.
La mostra è visitabile dal 14 luglio al 26 agosto 2018, presso la B#S Gallery (Vicolo Isola di Mezzo 3/5, 31100, Treviso)
La mostra propone una rielaborazione in chiave contemporanea dell’iconografia più tipica della vanitas: l’immagine del fiore reciso. Sublime, pregno di significato, eppure ambivalente, il linguaggio del fiore reciso è per antonomasia simbolo di bellezza e di effimera gioventù, ma nel profondo porta anche con sè un’inevitabile componente funerea e presagistica, insita nella sua qualità di elemento tombale.
Le opere esposte sono materiche, fotografiche, pittoriche ed installative, e traducono un universo di rimandi spirituali e carnali, connesso alla metafora del fiore in diverse culture.
In mostra, opere di: Anitra Hamilton, Juan Alberto Negroni, Cosima Montavoci, Stefano Zaratin, Laura Manfredi.
Lasceremo inoltre ampio spazio, con un talk dedicato, alla presentazione di B#Side Peripheral Visions, rassegna finanziata attraverso il programma SILLUMINA da SIAE e da MIBAC, di ampio respiro territoriale, presentando una preview delle attività e delle opere e delle attività, con gli artisti Under 35 Spela Volcic, Laura Manfredi, Alice Mestriner & Ahad Moslemi, Boris Beja, che sono presenti anche, in contemporanea nelle attività del festival.
Il ciclo di mostre Vanitas
“Vanitas vanitatum et omnia vanitas”: La fragilità e la caducità dell’essere umano -storicamente oggetto iconografico in tempo di guerra- hanno trovato espressione anticamente nel Memento Mori romano, e poi nella simbologia della Vanitas del XVII secolo, alle porte della sanguinosa guerra dei trent’anni.
“Memento Mori” è una frase latina che ha origine da una particolare tradizione tipica della Roma antica: quando un generale, dopo un trionfo militare, sfilando per le strade raccogliendo gli onori dalla folla, era in pericolo di essere sopraffatto dall’orgoglio e da aneliti di grandezza, qualcuno veniva investito del compito di ripetere continuamente alle sue spalle la frase: “Guarda dietro di te Ricordati che sei un uomo”.
Questo rituale è stato inventato dagli antichi probabilmente per evitare il distacco dall’empatia e dal sentimento di umanità da parte delle persone potenti (decisori e condottieri) in un momento di guerra. È questo un modo antico per ricordare una necessità universale, che ci affligge anche in relazione ai conflitti contemporanei: la necessità di mantenere gli individui a contatto con le loro emozioni, impedendo l’oggettivazione degli altri esseri umani, che è invece una distorsione percettiva comune in guerra. Invece, “vanitas vanitatum”, espressione latina tratta dalla Bibbia, deriva da vanus, letteralmente “vuoto”, “transitorio” e, nella pittura, ha dato vita ad un’iconografia specifica per la rappresentazione del senso effimero della vita, ricorrente in nature morte, caratterizzata dalla presenza di oggetti e indicatori simbolici che alludono alla precarietà dell’esistenza e all’inesorabilità del trascorrere del tempo (teschi, orologi fermati, candele spente). Alla base di questo concetto, l’idea di transitorietà e caducità, che si concentra sulla natura effimera della vita. In una parola: l’impermanenza (l’impermanenza è infatti, secondo le filosofie orientali, “caratteristica di tutto ciò che vive”).
Si tratta di un’iconografia che nel corso del XVII secolo si è dedicata anche alla rappresentazione della fragilità, come metafora della vita.
L’origine e la diffusione dell’iconografia della Vanitas incorpora una nuova chiave (non esplicita né truculenta) nel rappresentare l’orrore della guerra che, non a caso, si è sviluppato con caratteri spirituali e simbolici quando l’Europa, afflitta dalla carestia, dalla guerra dei Trent’anni, dalla catastrofe mondiale che ha seguito la scoperta delle Americhe e dallo scisma religioso, ha sentito per la prima volta, in modo tragico, la non coincidenza tra ideologia (motivi religiosi che giustificavano il conflitto) e la realtà (la tragedia della guerra).
Nel contemporaneo, momento di transizione non privo di violenza, la rappresentazione della fragilità della vita umana restituisce nuovi significati grazie alle opere di artisti internazionali: opere pittoriche, video e installative che si rifanno ad un immaginario fortemente ancorato nella memoria collettiva, esplorando simboli antichi in chiave attuale.
Con materiali di volta in volta impalpabili o pesanti, con linguaggi tangibili o concreti, gli artisti invitando ad una riflessione suggestiva e simbolica sui concetti di memoria e di ricostruzione identitaria. Ne emergono rappresentazioni capaci di parlare di un’esperienza universale, comune a tutti gli uomini e percepita con forza in tempi difficili: la caducità della vita.