Un progetto che vuole de-costruire, rielaborare e ri-costruire in chiave collettiva, e rappresentare – attraverso il corpo fisico e il corpo dell’opera d’arte – la memoria dei territori dell’estremo confine di nord est (le Alpi Giulie e il Carso, la pedemontana udinese e l’Isonzo), elaborando il tema dell’assenza e del disinvestimento industriale, valorizzando al contempo, tramite le pratiche dell’arte contemporanea, le realtà industriali ancora presenti e attive nei principali settori che hanno da sempre caratterizzato la regione: l’estrazione e la lavorazione del metallo, la nautica, il tessile e il legno.
I territori che contornano ad est la nostra penisola sono stati bersaglio, nel secolo breve, di un vero e proprio colonialismo nazionale: la crescita di economie a fine bellico e difensivo, legate soprattutto all’estrazione dei metalli, ha avviato un processo di militarizzazione e di industrializzazione volto a sfruttare il territorio (montano, delle cinte collinari, fino allo sbocco marittimo) e le operose genti del confine – paragonate, da più di qualche scrittore, alle api: modeste e silenziose, infaticabili e discrete. Tali economie si sono poi dimostrate “transizionali”: hanno sfruttato solo pro tempore le risorse, spostando altrove, al mutare delle condizioni storiche, il loro raggio d’azione. Al crollo del muro di Berlino e, in seguito, con la fine della guerra nei Balcani, il contesto del confine carsico-giuliano ha perso valore strategico: si è così avviato un inarrestabile processo di disinvestimento, finalizzato alla smobilitazione bellica e alla de-industrializzazione dell’area, che ha inciso profondamente su entrambe le vite della natura e dell’uomo.
I motori di questa macchina economica sono ancora a oggi inutilizzati: gli stabili, gli edifici e le archeologie industriali, così come le strutture belliche (caserme e fortezze), campeggiano su un territorio che hanno desolato, troppi e troppo imponenti perché si possa pensare a una completa riqualificazione con le sole forze dei piccoli comuni colpiti dal fenomeno. La smobilitazione degli apparati produttivi militari e la conseguente de-industrializzazione hanno avviato un processo di svuotamento che ha lasciato in eredità soltanto i resti di una impresa coloniale tanto aggressiva, quanto caduca.
Il destino di questa regione si legge oggi nelle due facce della de-militarizzazione e della de- industrializzazione da un lato, e del recupero e riutilizzo delle loro strutture dall’altro. Lungo i secoli, anche prima del Novecento, il territorio ha sempre vissuto una storia ambivalente, tra dominio esterno e riaffermazione dei propri valori: questa sfida necessita oggi di essere elaborata sia in chiave locale, sia nazionale, come rappresentativa di un vissuto condiviso in diverse parti del paese ed emblematico dei processi dell’intera nazione.
Il processo di svuotamento (economico e militare) dell’area di confine ha determinato un’assenza difficile da accettare.
Il territorio, ricco di centri urbani piccoli e grandi, si presenta attualmente come una grande e ininterrotta periferia, punteggiata da luoghi-fantasma: ex caserme, ex fabbriche, archeologie industriali incastonate nel paesaggio montano e collinare si stagliano, deserti e silenziosi. Essi rappresentano un lascito non solo novecentesco ma plurisecolare: sono il retaggio di un’idea, diffusa lungo tutto l’arco della modernità, di Carso e cinta Giuliana come spartiacque tra occidente e oriente (il mondo Ottomano, poi Jugoslavo-Balcanico, e infine Russo), e come confine da presidiare e da sfruttare dal punto di vista industriale per nutrire le economie difensive.
L’estetica del territorio di confine è dunque definita dalla presenza “in altitudine” di miniere, di industrie siderurgiche e di cartiere abbandonate, che, come gli scheletri di pachidermi e di dinosauri, si insinuano nel territorio (e sotto la pelle dello stesso) testimoniandone il passato, e richiamando l’attenzione su un presente contradditorio, nel quale fa capolino la perseveranza di alcune imprese che, attraverso l’innovazione, conservano il proprio legame con il territorio e danno slancio alla sua economia produttiva.
MODALITA’ DI SVILUPPO DEL PROGETTO: METODOLOGIA E STRUTTURA
Attraverso residenze d’artista e indagini etnografiche partecipative, mostre e conversazioni pubbliche, il progetto utilizza gli strumenti dell’arte contemporanea visuale per ripercorrere la storia industriale del limes friulano-giuliano, dal passato alle eccellenze odierne: dal vissuto di una popolazione la cui abilità artigianale è rinomata, a un’arte che nobiliti e sintetizzi, per non dimenticarlo, il percorso storico dell’ultimo mezzo secolo, tra irreggimentazione forzata nelle strutture dell’industria di massa e persistenza dei retaggi tipici.
Il progetto si avvale delle pratiche dell’arte contemporanea per coinvolgere la popolazione in una rielaborazione collettiva sul macro-tema dell’industria Made in FVG e sulla sua messa in forma: l’industria che si è sviluppata in regione ha in sé l’intrinseca caratteristica di utilizzo delle competenze degli abitanti, tanto da potersi avvicinare, a buon titolo, al concetto di artigianato (ars, arte. Non dimentichiamo che gli artigiani qualificati sono stati la spina dorsale della regione, storicamente apprezzati all’estero, anche nei momenti di migrazione massiva in Svizzera nel secondo dopoguerra: i minatori e gli operai non qualificati partivano da tutta l’Italia, e soprattutto dal Veneto, per le cave del Benelux; mentre gli artigiani e gli operai qualificati del Friuli Venezia Giulia venivano invece richiamati con ruoli di supervisione e progettazione nelle fabbriche elettroniche Svizzere).
in ciascuno dei territori regionali individuati dal progetto, due artisti saranno chiamati a investigare gli immaginari dell’industria coinvolgendo la popolazione locale, in modo da creare, attraverso la raccolta di memorie storiche connesse alle realtà produttive dell’area, un’opera d’arte che incorpori e rappresenti tale identità produttiva, alla quale partecipino sia la cittadinanza, sia le imprese tenacemente legate al territorio.
Il progetto si basa sul coinvolgimento dei fruitori in diverse fasi del processo: dalla raccolta di memorie nei luoghi di archeologia industriale, all’interazione delle aziende nell’ambito dell’azione artistica vera e propria. Questa evocherà nelle forme, nei materiali, nei movimenti, nella loro replicazione e nella loro relazione con il corpo dell’artista, il vissuto produttivo delle realtà e delle collettività coinvolte.
Un progetto finanziato dalla Regione Fvg, nell’ambito del bando creatività
(nell’immagine, opera di Ines Cohelo Da Silva, artista selezionata per le residenze)